Intervista all'autrice che, giornalista impegnata in lotte di segno rivoluzionario, racconta coraggiosamente episodi dolorosi della propria vita.
ADELE CAMBRIA FA PARTE DI DIRITTO DELLA GENEALOGIA più nobile del giornalismo italiano. Ora ha scritto un romanzo il cui titolo farà saltare sulla sedia più di una femminista: "Storia d'amore e di schiavitù".
Lei che ha alle spalle una gloriosa carriera di giornalista impegnata in lotte di segno rivoluzionario non ha avuto timori a raccontare, appena celati dalla finzione letteraria, episodi dolorosi della sua vita. Per pareggiare i conti col passato, l'autrice ha scelto coraggiosamente di dire tutta la verità: per anni si è sentita dilaniata dai suoi amori, i figli, un misterioso amante olandese, l'ingombrante madre. Adele Cambria, che ha lavorato al "Giorno" di Gaetano Baldacci fin dalla fondazione e poi al "Diario della settimana", oggi scrive per il quotidiano "Domani della Calabria", e si riconosce nella definizione che di lei danno i suoi amici: un'umorale dimissionaria.
Oggi vorrei scrivere libri. Ho ancora una grande curiosità per i giornali ma ormai non posso iniziare la mia brillante carriera parte seconda.
Sono già due i titoli che la giornalista ha mandato in libreria da quando non è più dipendente di una testata, e ciascuno corrisponde ad una urgenza personale, mai a strategie commerciali: la raccolta di racconti "L'amore è cieco" e, a quattro mani col figlio, "Tu volevi un figlio carabiniere"
Il giornalismo non le bastava più?
Per me iniziare a fare la giornalista è stato quasi un miracolo. Calabrese, di famiglia cattolica e conservatrice, appena laureata in giurisprudenza dopo essere stata accompagnata per anni da mia madre all'università, iniziare a firmare articoli di costume sulla prima pagina del "Giorno" è stato un record. Mi sono sempre detta: preferisco fare cinquant'anni di ottimo giornalismo che mediocri romanzi. Poi ti accorgi, anche con tutte le mie avventurose esplorazioni, che il giornalismo può essere importante per gli altri ma a te non basta. La superficialità è inevitabile.
Lei è stata collega di giornaliste mitiche.
Io sono tra le prime donne che hanno scritto sui quotidiani nazionali, insieme a Camilla Cederna e Oriana Fallaci. Soltanto che nessuna è stata così incosciente, come me, da sposarsi e fare figli. Devo moltissimo alla Cederna e soprattutto a sua madre. Quando mi chiesero di occuparmi di costume ero appena arrivata a Milano e non conoscevo nessuno. Così per un mese le Cederna, a colazione, mi hanno insegnato tutto.
E la Fallaci?
Lei mi ha teso una trappola, quando eravamo entrambe a Montecarlo per un servizio. Da allora non ci siamo più rivolte la parola.
Questo nuovo libro cosa significa per lei?
Dovevo testimoniare a me stessa la mia esistenza attraverso una storia di generazioni, di sud, di handicap che però sono anche stimmate di autenticità. Allora ho ricominciato dalle genealogie femminili, dalla madre di mia madre morta di parto a ventisei anni. Ho trovato tra le carte di mia madre le lettere di mia nonna che lei per discrezione non aveva mai letto. Io con la violenza che mi deriva da oltre quarant'anni di giornalismo le ho lette e mi sono sembrate così importanti che le ho messe in cima alla mia storia.
E' stato difficile scrivere una storia autobiografica?
La sfida è stata scrivere avendo i personaggi intorno a me. Contro tutte le regole della buona letteratura. Non ho aspettato che tutti fossero morti e che la memoria distanziasse gli eventi. Senza presunzione di arrivare alla sua importanza, un po' come nei suoi "Diari" ha fatto Anais Nin. Ora non temo tanto il giudizio di mia madre, che non legge più, quanto di mio figlio.
Perché la protagonista del romanzo si mette nella condizione di schiavitù?
Lucrezia è il campo di battaglia di due amori predatori: la madre e l'amante. Si mette nella condizione di schiavitù perseguendo l'utopia di far amare tra loro tutte le persone che lei ama. La conquista di oggi, dopo trent'anni di femminismo, è di poter parlare chiaramente di queste cose. Cinquant'anni fa, tranne Sibilla Aleramo che però aveva tagliato i rapporti con la famiglia, nessuno avrebbe osato far convivere nella realtà o in un romanzo madre e amante.
Le donne di oggi potranno riconoscersi in questa storia?
Io credo che molte si potranno riconoscere, ad alcune mancherà un pezzo di storia, altre potranno capire come si snoda nel tempo il destino delle donne.
Il protagonista, Anton, è esistito davvero?
E' stata una mia storia, nemmeno tanto remota. Ma la figura dell'eroe nordico forse io sola la vedo come l'ho descritta. Ormai lui però è prigioniero di queste pagine.
Perché gli uomini continuano a temere i sentimenti?
Anton riconosce di sentirsi invaso, come tanti uomini. Non saprei dire perché: i maschi sono per me un mistero. Luce Irigaray dice che gli uomini e le donne sono irriducibili gli uni alle altre. E quindi bisogna rispettare la distanza dell'enigma.
Tratto da www.stradanove.net, di Mariano Sabatini, 9 marzo 2000
Adele Cambria, Storia d'amore e di schiavitù, Ed. Marsilio sez. Farfalle pag. 216 € 13,43 disponibile su www.ibs.it
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