
Foto di Manuela Fabbri
martedì 28 luglio 2009
Adele Cambria -- Femminismo...
Adele Cambria - Freud non è più un lusso
IL GIORNO - Venerdì 20 gennaio 1978 - di Adele Cambria
domenica 26 luglio 2009
L'inizio... Adele Cambria e "il Giorno"
venerdì 24 luglio 2009
Pasolini cita Adele Cambria
giovedì 23 luglio 2009
mercoledì 22 luglio 2009
ADELE CAMBRIA --- OLIMPIA MAIDALCHINI PAMPHILJ - COGNATA DI INNOCENZO X°
Si racconta infatti che Olimpia, cognata di Papa Innocenzo X° (Gianbattista Pamphilj), allo scoccare della mezzanotte esca, ancora oggi, chiusa in una sepolcrale carrozza nera, dal suo palazzo in Piazza Navona e si diriga a gran velocità a ponte Sisto, sul Tevere sempre stringendo con cupidigia tra le robuste braccia matronali le due casse colme di monete d'oro che sottrasse, ingorda, al Papa moribondo.
Ma, arrivata la carrozza sul ponte, i neri cavalli si imbizzarriscono e precipitano nel fiume la donna più potente e più celebre della Roma secentesca. Fare i conti, ora, negli anni del post-femminismo,delle donne in carriera, della " teoria della differenza sessuale ", con un personaggio come quello di donna Olimpia Maidalchini, cognata di Papa Innocenzo X° e sua intima consigliera (oltre che unica erede), risulta piuttosto imbarazzante.
Fu, senza dubbio la padrona di Roma negli anni del Pontificato di Innocenzo X°, di cui aveva sposato in seconde nozze, il fratello: l'anonimo Pamphiljo Pamphilj, un Nobile già vecchiotto all'epoca del suo matrimonio con la provinciale signora, Olimpia era nata a Viterbo nel 1594), ma che ebbe il merito di introdurre nell'alta società romana questa creatura di una vitalità prepotente, con uno straordinario senso degli affari e delle clientele e, in più, provvista di un sicuro intuito e gusto per le belle arti, il lusso, lo sfarzo.
Fu lei a estromettere da Piazza Navona i fruttaroli che l'ingombravano di vividi colori, ma anche di bucce e immondizie e che s'accamparono quindi a Campo dei Fiori; fu lei a suggerire ad Innocenze X°, di affidare l'abbellimento della casa dei Pamphily affacciata su quella piazza, a Gerolamo Rainaldi, e così nacque, tra il 1644 e il 1650, in pochi anni, lo splendido Palazzo che oggi appartiene all'Ambasciata del Brasile.
Anche la chiesa di S.Agnese, così voluttuosamente, sinuosamente "abbracciata", a Palazzo Pamphily, è opera dello stesso architetto, che era entrato nelle grazie di Olimpia.
E ancora, la mirabolante Fontana dei Fiumi, il Bernini potè realizzarla soltanto perché aveva avuto l'accortezza di regalare alla cognata di Innocenzo X° un prezioso modellino d'argento che ne prefigurava le forme.
Il Papa, nella sua visita quotidiana alla Pimpaccia (così l'avevano soprannominata i romani), vide il progetto e decise di commissionare l'opera al Bernini, che aveva fino a quel momento scartato, perché era stato l'architetto favorito del suo precedessore, Urbano VII° Barberini: e tra i Pamphily e i Barberini le ostilità, prima velate, poi esplicite (Innocenze X° tentò di espropriarli di tutti i loro beni e di espellerli definitivamente da Roma), erano state sempre fortissime.
Insomma, si può dire che Olimpia sia stata l'ispiratrice segreta (ma poi nemmeno tanto), del piano urbanistico concepito da Innocenzo X°, e che, da Piazza Navona al Gianicolo, dove l'Algardi costruì per i Pamphily il delizioso Casino di recente restaurato, contribuì ad accrescere lo splendore di Roma e l'egemonia universale del papato nel momento in cui esso attraversava invece una grave crisi politica, Ovviamente, la Storia, quella con la esse maiuscola, concede a Olimpia, come altre sia pur rare donne cui riuscì, di "ideare", il progetto urbanistico di una città (si veda il caso di Ginevra Bentivoglio a Bologna), soltanto il ruolo dell'intrigante, femminista, fastidiosa "eminenza grigia", alle spalle del proprio uomo: rè, signorotto o Papa. E maggiore è lo scandalo sollevato da tali comportamenti femminili, più chances hanno, le "malvagie",comprimarie dello spettacolo del potere, di restare nella memoria storica, o addirittura come nel caso di Olimpia di trasferirsi nella leggenda.
La fama di Olimpia, senza dubbio, è stata salvaguardata, nel corso dei secoli, dal mito delle sue nefandezze.
Pare che abbia avuto anche un figlio, Camillo, dal cognato monsignore, quando tutta la famiglia Pamphily, si trasferì a Napoli, per seguire Gianbattista, nominato nunzio apostolico presso il viceré spagnolo.
Il figlio, comunque, fu attribuito al marito e lo diseredò quando egli osò sfidarla sposando Olimpia Aldobrandini, che alla mamma non piaceva affatto.
Si racconta pure che la Pimpaccia, non contenta di aver gestito in prima persona potere e ricchezze dello Stato Pontificio (e la statua di Pasquino recitava: "chi è persona accorta corre da donna Olimpia a mani piene e cioè che vuole ottiene. E' la strada più larga la più corta"), finì col derubare il povero Innocenzo X°, in agonia, delle casse d'oro nascoste sotto il suo letto.
venerdì 17 luglio 2009
Adele Cambria e Marco Pannella
“Il carisma è soltanto una lunga pazienza”
“Ma tu chi sei?”
Interviste inconsuete a personaggi notissimi
PANNELLA
Dall’unione goliardica al Partito Liberale fino ai “nuovi radicali”
di Adele Cambria
SOMMARIO: “Il Pannella che digiuna, il Pannella che s’imbavaglia in Tv: un’espressione folle, un fatto bestiale. La bestia rara, il mostro, il buffone. E’ il risultato della censura televisiva: sono l’unico uomo politico italiano, l’unico leader che per tre anni e mezzo non è mai andato “in voce” né al Tg1, né al Tg2, né al Tg3, né al Gr1, al Gr2 o al Gr3…”. Riflessioni su immagine e identità radicale nel mezzo della campagna per la raccolta di almeno quindicimila iscrizioni al partito radicale.
(IL GIORNO, 21 gennaio 1987)
(a.c.) Nasce a Teramo il 2 giugno 1930, da una madre francese nata tuttavia in Svizzera, e che ha un nome che in Italia è esclusivamente maschile, Andrea (il cognome è Estechon). Il padre è un ingegnere. La famiglia paterna, abruzzese, agiata, di piccoli proprietari terrieri, annovera uno zio monsignore, don Giacinto Pannella, il cui nome viene imposto al bambino, che tuttavia, fin da piccolo, sarà sempre chiamato Marco.
Marco Pannella nasce alla politica molto precocemente, entrando all’Università nell’Ugi (Unione goliardica italiana) e diventandone presto un leader carismatico (aggettivo che non gli piace e che rifiuta costantemente). Accanto a lui nell’Ugi crescono altri uomini politici, tra i quali l’attuale presidente del Consiglio, Bettino Craxi.
Dall’università alla politica, attraverso il Partito radicale che personaggi molto anziani e autorevoli di Pannella (Nicolò Carandini, Leopoldo Piccardi, Ernesto Rossi, Mario Pannunzio, Leo Valiani, Bruno Villabruna) costituiscono nel 1955. Pannella, che a quindici anni s’era iscritto al Partito liberale (aveva scoperto in edicola il quotidiano del partito, “Risorgimento liberale”, e ne era stato attratto), coopera a formare ben presto l’ala di punta del nuovo partito: essa prenderà il nome di “Sinistra radicale” e, nei primi anni Sessanta, raccoglierà l’eredità di un partito disgregatosi in parte per la “purezza impolitica” dei suoi fondatori, in parte per la sua “doppia anima” originaria (una laico-liberale moderata e un’altra rivoluzionaria-democratica).
La “Sinistra radicale” - che nasce proponendo, per bocca di Pannella, un’alleanza laica dal Pli al Pci - si caratterizzerà, con la rifondazione del partito (dal congresso del 1967 in poi), attraverso la tematica dei diritti civili. I “nuovi radicali”, come saranno definiti, sono più “politici” che “teorici” (ma anche più “idealisti” che “politici”), e preferiscono comunque l’azione alla riflessione che ha segnato la straordinaria stagione dei convegni degli “Amici del Mondo”. In breve, i nuovi radicali trasferiscono in politica gli emergenti bisogni d’emancipazione della società italiana. Punteranno quindi le loro carte sul divorzio (nel 1968 si costituisce la Lid), l’obiezione di coscienza (Loc), il pacifismo, la liberazione femminile (Mld, Cisa, battaglia per la depenalizzazione dell’aborto), la libertà sessuale (Fuori) e, via via negli anni, la riforma della giustizia e delle carceri, la lotta contro la fame nel mondo, ecc. ecc. Dal 1976 il Pr è presente nel Parlamento italiano, dal 1979 in quello europeo. Il soggettivismo politico, che i radicali reinventano in Italia, fatalmente si riassume in un nome e in un personaggio: Marco Pannella.
Roma, gennaio
Marco, che rapporto hai con la tua immagine pubblica?
“Un rapporto doloroso…”.
- Nel senso che ti ci riconosci, immagino… Ma nessuno si riconosce nell’idea che di lui, o di lei, hanno gli altri… Non è così?
“Questo è un luogo comune - … il fatto di non essere soddisfatto di come la tua immagine arriva agli altri… - e perciò, come tutti i luoghi comuni, è falso. C’è sempre una ragione per cui la tua immagine pubblica risulta alterata. Nel mio caso, io regno attraverso l’assenza, e non attraverso la presenza, nei mezzi di comunicazione di massa.
- Ma se sei uno dei personaggi più clamorosi dell’Italia degli ultimi dieci, quindici anni…
“Clamorosi, forse, ignoti di sicuro. Io esisto, certamente, come tu dici, nell’immaginario collettivo: ma anche Landru esisteva nell’immaginario collettivo, anche gli antifascisti, durante il fascismo, erano demonizzati - e quindi esistevano - nell’immaginario collettivo. Credimi, non sono io quello che appartiene all’immaginario collettivo italiano. E non sono io perché i tenutari dell’informazione televisiva nel nostro paese…”.
- Scusami, io ho l’impressione che tu mitizzi la tv… Non sono in tv, quindi non esisto. Ma a me pare, al contrario, che proprio tu sia la dimostrazione più brillante del fatto che non è necessario farsi vedere in televisione per essere conosciuto. O no?
“Proverò a farmi capire usando un esempio: immagina Luciano Pavarotti, immagina che di lui si senta dire che è un meraviglioso cantante d’opera, si mormori, si vociferi della sua bravura, del suo genio, ma, alla prova dei fatti, per la grande maggioranza delle persone, che non hanno l’occasione o la possibilità di andarlo a sentire in teatro, Luciano Pavarotti sia soltanto una faccia sui nostri teleschermi, il suo grande corpo florido, il suo viso giovanile, e la sua voce, che è il quid, la ragione stessa del suo essere Pavarotti, venga fatta ascoltare ai telespettatori soltanto un attimo, nell’istante del do di petto. Quel do di petto che è il momento massimo della creatività del tenore, della sua arte, del suo genio, della sua fatica, dato così, come un urlo, diventa un’espressione folle e bestiale. Così è per il Pannella che digiuna, il Pannella che si imbavaglia in tv, ecc. ecc. Un’espressione folle, un fatto bestiale… La bestia rara, il mostro, il buffone, o quello che vuoi… E questo è il risultato della censura televisiva: io sono l’unico uomo politico italiano, l’unico leader, diciamo, che per tre anni e mezzo non è mai andato “in voce” né al Tg1, né al Tg2, né al Tg3, né al Gr1, né al Gr2, né al Gr3… Perciò ti dicevo che il luogo comune secondo cui nessuno si riconosce nella propria immagine pubblica è sempre falso. Ci sono delle ragioni per cui non ci si riconosce. Per me sono quelle… Tu dici: sei la dimostrazione più brillante che non serve apparire in tv per essere conosciuto… Ma conosciuto come? Io sono una persona viva e dentro quell’immagine ci crepo. Ma ci crepa anche il Paese… Oggi il 90% della gente se sente parlare di Pannella ride. E’ un riso molto triste, un riflesso condizionato… Ridevano quando digiunavo…”.
- Ecco, il tuo digiuno, il digiuno dei radicali. Parliamone. E’ stato il gesto che più di tutti gli altri, forse, ha consolidato la tua immagine di provocatore irritante, se non di “buffone”… Quando poi gli irlandesi hanno cominciato a morire, digiunando contro l’Inghilterra… Sciascia, ai tempi dei tuoi primi digiuni, scrisse che l’ombra della fame aveva sovrastato per troppi secoli gli italiani perché potessero apprezzare un gesto del genere… E Indro Montanelli, al tempo dei digiuni degli irlandesi, scrisse che tu potevi soltanto o morire o fallire, fallire politicamente, a quel punto… Che cosa rispondi?
“Sciascia ha cambiato totalmente opinione. Io non credo comunque che gli italiani “rimuovessero”, come diceva lui, il digiuno per l’eredità di fame che avevano alle spalle, e quindi scattasse in loro il meccanismo del riso dell’incredulità… No, perché nelle caserme, nelle carceri, anche in Italia, s’è sempre digiunato per protesta. No, è che la classe dirigente aveva stabilito che il digiuno dei radicali era ridicolo e falso. Quindi foto deformi di un Pannella grassissimo trasmesse al Tg1 per illustrare la notizia dei miei digiuni, insinuazioni sul numero dei cappuccini bevuti. Perfino, il digiuno della sete, che ho fatto a Madrid sotto il controllo dei medici, in un ospedale pubblico, e nel corso del quale ho perso quattordici chili in tre giorni e mezzo, è stato messo in dubbio…”.
- Resta il fatto che gli irlandesi si sono lasciati morire…
“Ma perché loro sono dei soldati, il loro digiuno è violento, digiunano contro, contro i nemici; noi invece digiuniamo per la speranza, per convincere i nostri interlocutori a rispettare le regole che essi stesi si sono dati… La prima volta, Roberto Cicciomessere e io digiunammo perché il Parlamento discutesse senza altri rinvii la proposta di legge sul divorzio… Perché la discutesse, non perché l’approvasse… Digiunavamo quindi perché il Parlamento rispettasse se stesso, applicando le regole che s’era dato… E così è stato sempre…”.
Guardo Marco Pannella che, in un giorno di festa, alle dieci del mattino, nella sede dei gruppi parlamentari deserta (se non per i radicali), usa con soavità, per convincermi, l’intera “potenza” del suo personaggio (che io d’altronde conosco dai tardi anni Cinquanta, quando irrompeva nell’austera redazione de “Il Mondo” di Mario Pannunzio, e, come scrisse più tardi, acutamente, Arrigo Benedetti, tutti si chiedevano: “Ma che ha Pannella? E che vuole?… E’ giovane, è bello, può essere felice, al mondo non esiste solo la politica…”). Faccio, mentre lui torna al suo chiodo fisso, la tv, pensieri probabilmente meschini: per esempio, che sia un grande giornalista frustrato dal fatto di non avere scelto (o potuto scegliere, a causa delle sue idee) questo mestiere. Che abbiano ragione molti suoi ex fedeli, oggi nemici (chi avrà avuto torto, tra loro?), i quali hanno coniato, per lui, uno slogan: “Chi non è con me è contro di sé”. Come dire: la perfezione del ricatto morale. Se non sei con lui, se non lo segui, co
ndividi, obbedisci, vai contro i tuoi stessi interessi. E se poi fosse vero? Comunque, insisto:
- Senti, Marco, a me è sempre parso infantile che i radicali, avendo fatto propria la causa dei senza-potere, continuino a lamentarsi perché non li lasciano entrare nell’area del potere. Non ti sembra una contraddizione?
“Perché tu purtroppo hai una concezione cattolica del potere, lo demonizzi. Il potere che esigiamo noi è altro, è la forza di governo, e del buon governo. Il potere che esigiamo noi è quello parlamentare. Oggi in Italia il Parlamento non ha più nessun potere, dovrebbe invece averlo, e sarebbe una forza positiva. D’altro canto, il Pci non è mai stato forza di governo (dal 1947), ma ha un immenso potere. Il potere è potere sugli altri, e, in questo senso, non ci interessa: il governo, la forza di governo, ha invece come suo riferimento le cose da amministrare, la “res publica”.
- Tu insisti a dire “noi”… Ma per la maggior parte della gente il Partito radicale sei tu. Perché non vuoi ammetterlo?
“Perché non è vero. Sai cosa m’ha detto Craxi, ultimamente? Che quello che non si può non riconoscere ai deputati radicali, nel Parlamento italiano e in quello europeo, è la loro alta professionalità. Ma nessuno lo sa, perché i Cicciomessere, le Bonino, i Giovanni Negri, perfino i Rutelli, cioè acqua, sapone e cocacola, tutti, tutti, hanno voglia a essere bravi… Li censurano!”.
- Ma il carisma…
“Il carisma è soltanto una lunga pazienza. E’ la costanza dell’attenzione, come Simone Weil definiva l’amicizia… Amore, amicizia per gli altri, attenzione, lunga pazienza, questo sono le componenti del carisma”.
- Marco, parliamo del tuo privato. Voi radicali che avete portato la politica nel privato (secondi, in questo, soltanto alle femministe… e non ti arrabbiare!) custodite gelosamente il vostro privato. O, perlomeno, gli altri, i tuoi devoti, custodiscono gelosamente la tua vita privata. Per anni, non si conosceva neppure il tuo indirizzo… Ore è uscito un libro che lo dà, abiti in un’autentica soffitta di via della Panetteria, ed è stato svelato anche il nome della tua giovane compagna, una donna medico, Mirella Parachini…
“Ma io non ho mai tenuto segreto nulla. Vivere alla luce del sole è il sistema migliore per non essere visto. Perché tutti guardano dal buco della serratura. Mirella e io viviamo insieme da tredici anni, e ogni giorno sappiamo, serenamente, teneramente, che può essere l’ultimo del nostro rapporto. Invece dura. Lei aveva sedici anni quando l’ho conosciuta, al Partito radicale, diciannove quando abbiamo cominciato a vivere insieme. Ora è un’ottima ginecologa, ma, poiché non abbiamo potere, come tu dici, giustamente, fa ancora la pendolare… Lavora all’ospedale di Fondi.
“E così come non ho mai tenuto nascosta Mirella (ci mancherebbe altro… è una persona, non un quadro d’autore!), non ho mai tenuto nascosti gli altri che ho amato, che amo… Anzi, ho ostentato le mie amicizie con i compagni. Il mio obiettivo, fin da ragazzo, è stato sempre quello di togliere il fascino della “normalità” all’esistenza, per darle quello della “singolarità”… La vita è amore, l’amore è dialogo, il dialogo include le carezze… e la non violenza delle carezze o è consapevole, o è mero consumo”.
- Avete mei pensato, tu e Mirella, ad avere un figlio?
“Non siamo interessati a perpetuare meramente la specie. Quindi, la scelta di un figlio - se la faremo - significherà per noi due cambiare vita, per dar spazio a una terza persona”.
- Hai detto che, se non riuscirete a raggiungere le quindicimila iscrizioni entro gennaio, dopo lo scioglimento del Partito radicale tu andrai via dall’Italia e ti dedicherai a scrivere… Che cos’è questa decisione? Un lusso, quella della letteratura, che ti ha sempre tentato, e che potresti finalmente permetterti?
“Intanto, non è detto che il partito si scioglierà. Le iscrizioni piovono a ritmo sostenuto, premi Nobel come George Wald e Leontiev, molti ebrei e israeliani (questo mi ha fatto iniziare una riflessione approfondita sulle “colpe” d’Israele), si sono iscritti anche Sharanski e la moglie, e un altro esule dall’Unione Sovietica, il matematico Pliusc… e poi Marek Halter, il creatore del movimento francese “Sos-Racisme”, un leader emergente del nuovo movimento studentesco francese… E Ionesco, e tantissimo altri…”.
- Insomma, come al solito, avete gridato al lupo al lupo…
“Ma non lo sai che se non si fa il dramma si provoca la tragedia?… In quanto alla mia supposta vocazione letteraria, alla scrittura come fine, che tu mi attribuisci ora, nell’età dei capelli
bianchi… Be’, credo di non averla mai avuta, questa velleità. La letteratura non è il mio campo, anche se, ovviamente, ho cercato di nutrirmene per tutta la vita. Quello che invece io intendevo è
la scrittura come Storia, storia di un movimento, quello non-violento, che in Italia si è costituito in partito (i radicali) prima che altrove in Europa… Voglio fare questa Storia, ma con piccoli
libri, cento, duecento pagine, anche pamphlets, nella tradizione illuministica, se vuoi… Perché altrimenti rischiamo di essere sepolti dalla catastrofe della disinformazione. Penso comunque a
libri di dimensione internazionale, perché, fuori del nostro Paese, le nostre idee circolano con molta maggiore intensità e autenticità che in Italia…”.
martedì 14 luglio 2009
Adele Cambria, Storia d'amore e di schiavitù, intervista

Intervista all'autrice che, giornalista impegnata in lotte di segno rivoluzionario, racconta coraggiosamente episodi dolorosi della propria vita.
ADELE CAMBRIA FA PARTE DI DIRITTO DELLA GENEALOGIA più nobile del giornalismo italiano. Ora ha scritto un romanzo il cui titolo farà saltare sulla sedia più di una femminista: "Storia d'amore e di schiavitù".
Lei che ha alle spalle una gloriosa carriera di giornalista impegnata in lotte di segno rivoluzionario non ha avuto timori a raccontare, appena celati dalla finzione letteraria, episodi dolorosi della sua vita. Per pareggiare i conti col passato, l'autrice ha scelto coraggiosamente di dire tutta la verità: per anni si è sentita dilaniata dai suoi amori, i figli, un misterioso amante olandese, l'ingombrante madre. Adele Cambria, che ha lavorato al "Giorno" di Gaetano Baldacci fin dalla fondazione e poi al "Diario della settimana", oggi scrive per il quotidiano "Domani della Calabria", e si riconosce nella definizione che di lei danno i suoi amici: un'umorale dimissionaria.
Oggi vorrei scrivere libri. Ho ancora una grande curiosità per i giornali ma ormai non posso iniziare la mia brillante carriera parte seconda.
Sono già due i titoli che la giornalista ha mandato in libreria da quando non è più dipendente di una testata, e ciascuno corrisponde ad una urgenza personale, mai a strategie commerciali: la raccolta di racconti "L'amore è cieco" e, a quattro mani col figlio, "Tu volevi un figlio carabiniere"
Il giornalismo non le bastava più?
Per me iniziare a fare la giornalista è stato quasi un miracolo. Calabrese, di famiglia cattolica e conservatrice, appena laureata in giurisprudenza dopo essere stata accompagnata per anni da mia madre all'università, iniziare a firmare articoli di costume sulla prima pagina del "Giorno" è stato un record. Mi sono sempre detta: preferisco fare cinquant'anni di ottimo giornalismo che mediocri romanzi. Poi ti accorgi, anche con tutte le mie avventurose esplorazioni, che il giornalismo può essere importante per gli altri ma a te non basta. La superficialità è inevitabile.
Tratto da www.stradanove.net, di Mariano Sabatini, 9 marzo 2000
Adele Cambria, Storia d'amore e di schiavitù, Ed. Marsilio sez. Farfalle pag. 216 € 13,43 disponibile su www.ibs.it
domenica 12 luglio 2009
Sulle tracce di Erri De Luca
di Adele Cambria
«Quando avevo due anni, Erri mi ruppe la testa con una pietra… A Ischia…. Dopo ci siamo persi di vista per decenni…». «Quindi non eri tu la ragazzina che lui aspettava invano sul cancelletto di legno, e lei non veniva…? Ti ricordi la storia d'amore fallita, che racconta in 'Non ora,non qui?'». Conversazioni su Erri (De Luca) l'altra sera a Santa Maria in Galeria, appena finita la proiezione del documentario di RaiSat Extra, «Sulle tracce di Erri De Luca», autrice Patrizia Schisa (quella a cui lui ruppe la testa con una pietra), regista Sibilla Damiani. Attenzione: non era una serata mondana, o- se lo era- si trattava di una mondanità talmente essenziale da confondersi con la semplicità più eletta: ristorante rustico, abbondanza di cibo rustico, vino rosso versato quasi apostolicamente dal protagonista, lo stesso scrittore, soprattutto nel bicchiere sempre disponibile di un altro scrittore, Pedrag Matvejevic… L'autrice del documentario- in onda venerdì 8 ottobre su un canale «i cui tempi, luoghi e volti- spiega il suo Direttore, Marco Giudici- non sono quelli della Tv generalista» è dunque un'amichetta d'infanzia di Erri De Luca. E dice Milly, la madre di Erri (ed eccellente co-protagonista del video e della serata): «Mio figlio da piccolo non è che si faceva tanti amici, ma ora è contento, quei pochi, di ritrovarli…». «Allora non eri tu- insisto con Patrizia- la ragazzina del cancelletto?». «Purtroppo no! Ma dopo, verso i sedici anni, ho avuto un flirt con Daniele, il cuigino di Erri... Che ha scritto la musica per la canzone che Erri, nel nostro video, suona alla chitarra...». Ed anche questo potrebbe sembrare uno strano miscuglio, l'alone degli affetti parentali che circonda lo scrittore napoletano nella sua maturità, lui che a diciott'anni- come racconta nel video- si 'scasò'. «Una diserzione totale, dalla casa, dalla famiglia, dalla città, da tutto…»: e addirittura, oggi, rivendica la convivenza con la madre. «Ho l'onore di accogliere nella mia casa la sua bellissima vecchiaia…». Ma infine ecco la storia di Erri De Luca. «Una biografia sceneggiata» è il sottotitolo del video e comincia con lui che cura l'orto, travasa il vino… («Avete fatto sembrare la casa una reggia!», ammirava Milly a tavola). Erri spiega che il suo nome non è un vezzo, ma sarebbe stato Henry, come uno zio dell'Alabama, solo che le leggi fasciste proibivano i nomi stranieri…. «E quando io giravo per la città con questo nome mi pigliavano per americano, Napoli all'epoca era il più grande bordello dei militari americani nel mondo, una città occupata, una città venduta, ed io volevo andarmene… La città mi ha espulso…». Domanda Patrizia: «Lasci Napoli a diciott'anni, e dove vai?». «Non lo sapevo, ma ho scoperto che c'era una intera generazione scasata in quegli anni, la mia…. La generazione che sarebbe diventata, dopo, la più carcerata d'Italia…». Quella «comunità d'insorti», come la chiama lui, finisce attorno agli Ottanta. Lui, che ha preso la maturità classica per non dispiacere al padre- «Dottò, io mi piglio la maturità e poi la vita è la mia!» - fa l'edile a Roma, poi va in fabbrica a Torino, «addetto alla sgrossatura degli alberi-motore». Domanda Patrizia: «Come trova, un operaio, il tempo per scrivere?». «Un pacchetto di dodici ore, otto in fabbrica e quattro per andare e venire, lo hai venduto. Ma io mi alzavo un'ora prima e mentre stavo alla pressa, avevo qualcosa a cui pensare. La sera potevo aggiungere una pagina scritta… Non ho mai capito il turbamento della pagina bianca».
6 ottobre 2004 l'Unitàpubblicato nell'edizione di Roma (pagina 5)giovedì 9 luglio 2009
Opera omnia in 250 pagine
di Adele Cambria
("Il Giorno", 28 luglio 1986, pag. 3)